08 08

Nicole vomita copiosamente nel cesso del Toy. Con pochissima grazia, anche considerando le sue pessime condizioni. Più volte manca la tazza, si sporca gli stivaletti neri. “Sono morta”. Spenta, gli occhi tumidi. Fruga in tasca, rovescia catatonica la borsetta, buona parte del contenuto si perde nelle chiazze grumose sulle piastrelle. “Senza la coca sono morta. Come mi esco, da qua.” Il boato sordo della techno permea l’ambiente e fa tremare la porta. “Che schifo. Che schifo. Che schifo.”
Nicole ha passato la giornata a fumare un pessimo fumo tagliato con paraffina, alternandolo a conitnue sorsate di rosso da discount, nella vana speranza di anestetizzarsi, di ignorare, almeno per qualche ora, quella profonda crepa dentro di sé. I dettagli dell’appartamento, sporco di tre giorni di totale abbandono, sembravano quasi, a turno, farsi più nitidi, come a schernirla nel riportarla spietatatmente al presente. Il frigo senza più foto, biancastro. Un angolo con i resti di un bicchiere rotto. Il lavello pieno di avanzi e piatti, lerci ed ammuffiti. E la sua stanza, nella quale si era trascinata, estenuata. Polvere. Libri ed appunti sparpagliati sui palchetti. Del vino ha macchiato una vecchia cartolina.
Ed il letto. Il letto, vuoto. Il letto, spoglio. Arido. Talmente simbolico e drastico che più volte, osservandolo attraverso l’alcool e le lacrime, è scoppiata in una disperata risata.
Date le premesse non è stata quindi una grande intuizione quella di uscire, in cerca di non si sa bene cosa. Nè infatti l’avrebbe fatto, se non avesse trovato, per terra, un avanzo di coca. Poco meno di un grammo, di cui metà se lo è tirato in stanza, distesa in pigiama sul pavimento lurido. Era buona, era ottima, non era sua. Lei non se la sarebbe mai potuta permettere: era una delle tante tracce lasciate da Marco, il giorno che
“Farà male. Non ti amo più. Me ne vado.”
il giorno che…Le tre frasi le rimbalzano dentro, se le è ripetute talmente tante volte che le riesce difficile credere che avvessero – una vita fa, tre giorni prima – avuto un significato. Le sembrano dei suoni, come il rumore che fa la polvere bianca mentre viene aspirata dalle sue narici. Prive di senso ma non di dolore. Come se fosse vetro, che sta sniffando.
Raccolto qualche vestito è uscita di casa, capitando non troppo casualmente al Toy, dove stasera c’è una serata hardtek.  Il miscuglio di alcol e coca l’ha tenuta in palla per quasi mezz’ora, ma al terzo rum e cola, più o meno nel momento in cui ha sentito la botta dell’ultima riga che si ritraeva vigliacca, ha capito di colpo perché era arrivata fino a là. Marco stava ballando, a pochi metri da lei. Doveva averla già intravista e quindi è riuscito a fare finta di niente, ma lei si è sentita mancare il sangue al cervello; per un attimo ha visto nero e le gambe le hanno ceduto, si è ripresa appena in tempo per non rovinare al suolo.
Eccola quindi al cesso, drammaticamente in cerca della polvere e di sè stessa, la testa un vortice nero in cui quei pochi pensieri, ombre, si rincorrono senza sosta, rendendole impossibile qualsiasi decisione, anche la più semplice. Il pavimento è umido, si lascia scivolare a terra, la schiena contro l’intonaco scrostato della parete, le palpebre semichiuse ed il viso scosso da fremiti. Sferra un pugno isterico alla tavoletta del cesso, e questa – quasi non se ne accorge – si spezza. Ed è il dolore, lancinante e tagliente come una silhouette nera sullo sfondo della sua mente annebbiata, è il dolore acuto ed istantaneo che la sveglia. Schizza in piedi. Osserva le grosse gocce rosse che stillano copiose dal palmo della sua mano destra, cadono sulle piastrelle e si mescolano col vomito. Stringe il pugno, sente la ferita premere e straripare. Con lo sguardo fisso esce calma dal bagno ed entra nella sala.
Lui è al banco ed i loro sguardi si incrociano; restano fissi l’uno nell’altro, soli e muti, per qualche lungo istante. Tutto il loro passato comune li unisce come un meraviglioso ponte etereo, ma entrambi sanno, sentono, che ormai gli abissi di estraneità si stanno espandendo inesorabili, e qualsiasi speranza servirà solo ad acuire, se anche a posticipare, l’inevitabile dolore. Mentre lei prosegue verso l’uscita, lui – parrebbe quasi che non se ne renda conto – la segue. Fuori nel frattempo l’estate piove, allaga, sommerge. Infiniti rivoli, caldi come quelli che stillano dalla mano della ragazza, inzuppano la stretta via scura, tra gli alti muri cadenti e senza finestre.
Lei sa di essere seguita. Si volta, già fradicia. Marco è fermo sulla soglia, la sagoma appena visibile contro l’alone giallastro proveniente dall’interno. La guarda catatonico, le mani lungo i fianchi e la testa inclinata, caduta.
“Stai…” – deglutisce – “sanguinando”
“Sì”

05 09

Nicole vomita copiosamente nel cesso del Toy. Con pochissima grazia, anche considerando le sue pessime condizioni. Più volte manca la tazza, si sporca gli stivaletti neri. “Sono morta”. Spenta, gli occhi tumidi. Fruga in tasca, rovescia catatonica la borsetta, buona parte del contenuto si perde nelle chiazze grumose sulle piastrelle. “Senza la coca sono morta. Come mi esco, da qua.” Il boato sordo della techno permea l’ambiente e fa tremare la porta. “Che schifo. Che schifo. Che schifo.”

Nicole ha passato la giornata a fumare un pessimo fumo tagliato con paraffina, alternandolo a conitnue sorsate di rosso da discount, nella vana speranza di anestetizzarsi, di ignorare, almeno per qualche ora, quella profonda crepa dentro di sé. I dettagli dell’appartamento, sporco di tre giorni di totale abbandono, sembravano quasi, a turno, farsi più nitidi, come a schernirla nel riportarla spietatatmente al presente. Il frigo senza più foto, biancastro. Un angolo con i resti di un bicchiere rotto. Il lavello pieno di avanzi e piatti, lerci ed ammuffiti. E la sua stanza, nella quale si era trascinata, estenuata. Polvere. Libri ed appunti sparpagliati sui palchetti. Del vino ha macchiato una vecchia cartolina.

Ed il letto. Il letto, vuoto. Il letto, spoglio. Arido. Talmente simbolico e drastico che più volte, osservandolo attraverso l’alcool e le lacrime, è scoppiata in una disperata risata.

Date le premesse non è stata quindi una grande intuizione quella di uscire, in cerca di non si sa bene cosa. Nè infatti l’avrebbe fatto, se non avesse trovato, per terra, un avanzo di coca. Poco meno di un grammo, di cui metà se lo è tirato in stanza, distesa in pigiama sul pavimento lurido. Era buona, era ottima, non era sua. Lei non se la sarebbe mai potuta permettere: era una delle tante tracce lasciate da Marco, il giorno che

“Farà male. Non ti amo più. Me ne vado.”

il giorno che…Le tre frasi le rimbalzano dentro, se le è ripetute talmente tante volte che le riesce difficile credere che avvessero – una vita fa, tre giorni prima – avuto un significato. Le sembrano dei suoni, come il rumore che fa la polvere bianca mentre viene aspirata dalle sue narici. Prive di senso ma non di dolore. Come se fosse vetro, che sta sniffando.

Raccolto qualche vestito è uscita di casa, capitando non troppo casualmente al Toy, dove stasera c’è una serata hardtek.  Il miscuglio di alcol e coca l’ha tenuta in palla per quasi mezz’ora, ma al terzo rum e cola, più o meno nel momento in cui ha sentito la botta dell’ultima riga che si ritraeva vigliacca, ha capito di colpo perché era arrivata fino a là. Marco stava ballando, a pochi metri da lei. Doveva averla già intravista e quindi è riuscito a fare finta di niente, ma lei si è sentita mancare il sangue al cervello; per un attimo ha visto nero e le gambe le hanno ceduto, si è ripresa appena in tempo per non rovinare al suolo.

Eccola quindi al cesso, drammaticamente in cerca della polvere e di sè stessa, la testa un vortice nero in cui quei pochi pensieri, ombre, si rincorrono senza sosta, rendendole impossibile qualsiasi decisione, anche la più semplice. Il pavimento è umido, si lascia scivolare a terra, la schiena contro l’intonaco scrostato della parete, le palpebre semichiuse ed il viso scosso da fremiti. Sferra un pugno isterico alla tavoletta del cesso, e questa – quasi non se ne accorge – si spezza. Ed è il dolore, lancinante e tagliente come una silhouette nera sullo sfondo della sua mente annebbiata, è il dolore acuto ed istantaneo che la sveglia. Schizza in piedi. Osserva le grosse gocce rosse che stillano copiose dal palmo della sua mano destra, cadono sulle piastrelle e si mescolano col vomito. Stringe il pugno, sente la ferita premere e straripare. Con lo sguardo fisso esce calma dal bagno ed entra nella sala.

Lui è al banco ed i loro sguardi si incrociano; restano fissi l’uno nell’altro, soli e muti, per qualche lungo istante. Tutto il loro passato comune li unisce come un meraviglioso ponte etereo, ma entrambi sanno, sentono, che ormai gli abissi di estraneità si stanno espandendo inesorabili, e qualsiasi speranza servirà solo ad acuire, se anche a posticipare, l’inevitabile dolore. Mentre lei prosegue verso l’uscita, lui – parrebbe quasi che non se ne renda conto – la segue. Fuori nel frattempo l’estate piove, allaga, sommerge. Infiniti rivoli, caldi come quelli che stillano dalla mano della ragazza, inzuppano la stretta via scura, tra gli alti muri cadenti e senza finestre.

Lei sa di essere seguita. Si volta, già fradicia. Marco è fermo sulla soglia, la sagoma appena visibile contro l’alone giallastro proveniente dall’interno. La guarda catatonico, le mani lungo i fianchi e la testa inclinata, caduta.

“Stai…” – deglutisce – “sanguinando”

“Sì”

ringrazio Vanni Santoni per i consigli

3 Risposte to “08 08”

  1. Bellissimo, complimenti.

  2. grazie. Una parte dell’eventuale merito va a vanni. (tralatro quella della grazia e delle condizioni, e della cosc, è un suo personaggio. Copio&incollo

    Antonietta
    Antonietta barcolla nella toilette del club alla moda in cui è
    andata stasera. È ubriaca persa e non ritrova la bustina di
    coca che ha nella borsetta. Si volta verso lo specchio e nota
    una ruga che prima non c’era. Tra poco vomiterà con una
    grazia notevole, viste le condizioni.

  3. […] [se avete apprezzato provate questo] […]

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