11 09

11 09

La cosa peggiore, forse, è che questo dovrebbe essere il momento migliore, in cui totalmente privi di desideri ci si può sentire veramente se stessi, liberi, ed invece tutto quello che sento è una grande pesantezza, un cupo senso di squallore, come una tragedia in grigio. La più grande delusione che riesca a ricordarmi. Il fondo del fondo, raggiunto improvvisamente dopo la scopata più attesa e bramata della mia vita.

Era diventata un’ossessione. Per molto tempo non sono riuscito a pensare a niente altro, a nessun’altra. Ho vissuto quasi un anno tormentato dalla certezza assoluta ed incrollabile che Marla non mi vedesse nemmeno, che fossi aria ai suoi occhi. Non osavo rivolgerle la parola; perché non credevo mi avrebbe neanche sentito, perché l’emozione mi toglieva qualsiasi controllo sul tono delle parole, come succede ai ragazzi quando cambiano voce e ad ogni momento non sanno se parleranno con quella da adulto o quella da bambino. Così i mesi passavano, ed io morivo ogni giorno un po’. Non avevo bisogno di nessuna conferma della sua indifferenza verso di me perché mi bastava il dolore, che con acute fitte mi bloccava il respiro ogni volta che la vedevo o la pensavo, mi bastava il dolore per togliermi qualsiasi speranza. Ci separava un abisso, pensavo, l’abisso di tutta la mia adorazione, e riempirlo mi pareva semplicemente inconcepibile.

E non c’era modo possibile in cui qualcuno o qualcosa avrebbe potuto sviarmi dalle mie certezze, perché ero troppo concentrato ed ossessionato dalla mia personale immagine di Marla e del mio amore per lei per poterci ragionare. Era una realtà a se, senza alcuna comunicazione con l’esterno. C’era solo il mio buio, e si alimentava da solo. È stato per questo che nel momento in cui tutto il teatrino mentale è crollato ho fatto difficoltà a crederci.

È stato poche ore fa. Ero all’Aurora, avevo passato la serata a darmele con i soliti altri, spettri catatonici al mio pari, frustrati e repressi come la quasi totalità delle facce che incontro ogni giorno per le strade della città. La solita folla chimica sciamava attorno indifferente. Ogni sabato ormai ci incontriamo e ce le suoniamo finché qualcuno non decide di averne avuto abbastanza. Zoppicavo. Lentamente me ne stavo uscendo, sporco e sudato, un labbro spezzato e gonfio, uno zigomo nero e tracce di sangue sparse sulla maglietta strappata. L’avevo già intravista, ma l’Adrenalina – dea tra le dee delle mie innumerevoli frequentazioni psicotrope – mi rendeva abbastanza leggero da non sobbalzare alla sua vista, ed abbastanza – e ce ne voleva – per chiederle di spostarsi dato che mi bloccava l’uscita. Poi, l’imprevedibile:”Prima, però, devi baciarmi.”

La sorpresa ci ha messo un po’ a raggiungermi, tanto ero distante in quel momento, e solo quando ho realizzato davvero il senso di quello che aveva detto ho alzato lo sguardo ai suoi occhi. In un’altra situazione avrei esitato fino al panico, incapace di reagire e di decidere, ma quello era un momento particolare. Devo ancora all’Adrenalina – che mi scorreva abbondante nelle arterie come ogni volta che finiva una serata del genere -, se il movimento delle mie labbra rotte e tumide verso le sue è stato così fluido ed inevitabile. Quello che è successo dopo ve lo potete sicuramente immaginare. Sul momento infatti non me ne rendevo conto, ma stavo seguendo dei binari collaudati, in cui ogni movimento era già stato scritto e praticato da schiere di persone nella mia stessa situazione. Quello che mi sembrava il culmine del mio desiderio, la meta finale in cui non avevo mai osato sperare, ne era in realtà il momento più ovvio e scontato.

Ma di questo me ne accorgo solo ora. Ora che sono disteso sul letto sfatto, con Marla a fianco che dorme nuda e scomposta. E, soprattutto, brutta.

C’è qualcosa di perfido nel fatto che solo ora mi sembri di vederla davvero. Eccoci qua, soddisfatti dopo che abbiamo ottenuto quello che credevamo di volere. Eccola qua, inerme, esposta e pallida come un mollusco fuori dalla sua conchiglia. Ne vedo le infinite imperfezioni, i dettagli sbagliati, le proporzioni vere e troppo terrene. Ne sento il respiro, ed è un respiro imperfetto, ne osservo la forma e non è quella che sognavo. E poi osservo me, svuotato materialmente e mentalmente, senza più nessuna tensione mi accorgo di non sentire più la vita. Cadente, mi guardo allo specchio e mi faccio schifo.

Ebbene, penso, eccomi qua. Ho ottenuto quello che mai credevo avrei potuto ottenere. Il massimo.
Tutto quello che ho sempre voluto.
E quindi? Cosa rimane? Dei mesi di tensione, cosa rimane? Dell’angoscia e del dolore come lame roventi, cosa rimane? A cosa hanno portato?
Sono passato da una frustrazione all’altra, da una desolazione all’altra.
E mi dico, non c’è via di mezzo, non c’è scampo. Questo momento è troppo una metafora della mia vita, una sua riproduzione in scala.
E scendo dal letto, ed apro la finestra, ed è l’alba ed è grigia e umida.
E mi dico, non voglio continuare così.
E mi dico, non posso.
E salgo, e salto.

2 Risposte to “11 09”

  1. Mi è piaciuto molto, come pure quelli precedenti, mi metterò a leggere il blog tutto ora : )

  2. [sentitamente ringrazio]

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