Archivio per ottobre, 2009

10 09

Posted in Uncategorized on ottobre 25, 2009 by abissiscarlatti
Il neon alla lunga stordisce.
Il continuo mormorio  delle persone intorno a me, appena amplificato dalle pareti in cemento armato, crea un tappeto di rumore bianco, irregolare ed alienante. È da un po’ che aspetto, ormai. Sono in un’aula dell’università, la lezione dovrebbe essere già cominciata, ed inizio a pensare che ormai non si farà. Sono solo, e silenzioso. Non conosco nessuno dei miei compagni di corso, né mi interessano. Sono qua per la lezione, ma la lezione non comincia. È strano, questo ritardo, ma sembra che io sia il solo a notarlo. Intorno a me, infatti, le voci senza faccia non sembrano stupirsi, ed  è come se fossero persone diverse, ognuna ferma per pochi minuti. Come certe volte in aeroporto, quando dovevo aspettare per un’intera giornata e le persone che mi circondavano andavano e venivano, sempre diverse e sempre uguali. Un’infinità di dettagli che si confondevano, entrando ed uscendo dalla mia scarsa attenzione.
Solo che siamo in un’aula, e la porta è chiusa, e da molto ormai nessuno entra o esce. I frammenti che colgo dai discorsi intorno a me mi portano argomenti ricorrenti – professori orari programmi esami – ed ho a volte l’impressione fortissima di risentire più volte esattamente le stesse parole. Non ho niente da leggere, sono venuto qua per la lezione, e provo allora a scrivere, a prendere appunti. Provo ad immaginare cosa potrà raccontare il professore quando entrerà, se entrerà. Potrebbe iniziare presentando rapidamente gli autori che studieremo, e le loro principali caratteristiche. Ma che autori saranno? E perché li avrà scelti? I miei appunti sulla lezione immaginaria si fermano prima di iniziare, al titolo, e poi resto con la matita a mezz’aria a fissare la lavagna vuota. Tutte le superfici sono simili, sembrano intercamabiabili ed indifferenti, lisce e solo un po’ sporche, come se fossero all’inizio di una lunga incuria. Se striscio il dito sul banco lascio una traccia appena visibile sotto il neon. La luce non cambia mai, il tempo sembra non passare. Ogni tanto il volume del brusio che mi circonda cala per qualche momento, ma è solo un caso, una pausa contemporanea di qualche conversazione.
Penso che potrei andarmene, ma non vorrei perdermi la prima lezione del corso.
Mi scopro a pensare al mondo fuori da quest’aula, e mi sorprendo a non ricordarne i dettagli. I volti dei miei familiari mi sfumano davanti senza che riesca a fermarli. Sono ipnotizzato dai quadretti sulla pagina, stordito dall’attesa, e dal biancore del neon. Penso a cosa farò quando uscirò, penso che tutti i miei conoscenti saranno cambiati, invecchiati, e chissà se riuscirò a riconoscerli.

10 09

Il neon alla lunga stordisce.

Il continuo mormorio  delle persone intorno a me, appena amplificato dalle pareti in cemento armato, crea un tappeto di rumore bianco, irregolare ed alienante. È da un po’ che aspetto, ormai. Sono in un’aula dell’università, la lezione dovrebbe essere già cominciata, ed inizio a pensare che ormai non si farà. Sono solo, e silenzioso. Non conosco nessuno dei miei compagni di corso, né mi interessano. Sono qua per la lezione, ma la lezione non comincia. È strano, questo ritardo, ma sembra che io sia il solo a notarlo. Intorno a me, infatti, le voci senza faccia non sembrano stupirsi, ed  è come se fossero persone diverse, ognuna ferma per pochi minuti. Come certe volte in aeroporto, quando dovevo aspettare per un’intera giornata e le persone che mi circondavano andavano e venivano, sempre diverse e sempre uguali. Un’infinità di dettagli che si confondevano, entrando ed uscendo dalla mia scarsa attenzione.

Solo che siamo in un’aula, e la porta è chiusa, e da molto ormai nessuno entra o esce. I frammenti che colgo dai discorsi intorno a me mi portano argomenti ricorrenti – professori orari programmi esami – ed ho a volte l’impressione fortissima di risentire più volte esattamente le stesse parole. Non ho niente da leggere, sono venuto qua per la lezione, e provo allora a scrivere, a prendere appunti. Provo ad immaginare cosa potrà raccontare il professore quando entrerà, se entrerà. Potrebbe iniziare presentando rapidamente gli autori che studieremo, e le loro principali caratteristiche. Ma che autori saranno? E perché li avrà scelti? I miei appunti sulla lezione immaginaria si fermano prima di iniziare, al titolo, e poi resto con la matita a mezz’aria a fissare la lavagna vuota. Tutte le superfici sono simili, sembrano intercambiabili ed indifferenti, lisce e solo un po’ sporche, come se fossero all’inizio di una lunga incuria. Se striscio il dito sul banco lascio una traccia appena visibile sotto il neon. La luce non cambia mai, il tempo sembra non passare. Ogni tanto il volume del brusio che mi circonda cala per qualche momento, ma è solo un caso, una pausa contemporanea di qualche conversazione.

Penso che potrei andarmene, ma non vorrei perdermi la prima lezione del corso.

Mi scopro a pensare al mondo fuori da quest’aula, e mi sorprendo a non ricordarne i dettagli. I volti dei miei familiari mi sfumano davanti senza che riesca a fermarli. Sono ipnotizzato dai quadretti sulla pagina, stordito dall’attesa, e dal biancore del neon. Penso a cosa farò quando uscirò, penso che tutti i miei conoscenti saranno cambiati, invecchiati, e chissà se riuscirò a riconoscerli.

10 09

Posted in Uncategorized on ottobre 5, 2009 by abissiscarlatti

questo potrei intitolarlo “Conversazione con l’uomo del lavandino”

“NO, no, basta. Dico, almeno per un po’. Tipo qualche anno haha. HA-HA! No, ti dico, guarda che l’altra volta l’ho deciso io di andarci sai? Lo sai no? Te l’avevo detto no? Cioè insomma per una volta mi son detto, dai cazzo Claudio, per una volta invece di rovinarti di porno, no, esci un po’. Mi sentivo anche bene, pure, attivo capisci. Cioè insomma attivo, insomma sì, ho pensato dai esci, fai qualcosa. Così. Alla fine è stata un’idea del cazzo, chiaro. Ma come potevo saperlo, o cioè insomma, è vero, POTEVO saperlo, ma poi, dai lo sai, giudicare a posteriori è comunque una cazzata no? Beh è andata così, che alla fine sono uscito davvero. Cazzo mi sono pure vestito bene, dai. Robe che non capitavano da mesi. E sono finito in ‘sto cazzo di locale disco bar pub checazzonesò. Una roba da truzzi proprio, ma alla fine pensavo, per una volta proviamo il massimo del degrado no? Quando tocchi il fondo comincia a scavare come diceva quell’altro. Merda la sapeva lunga eh? Quindi insomma, beh prima roba la musica era ma una MERDA, che dico io ma che cazzo ha in testa sta gente? Insomma le classiche tamarrate degne di un locale dove fuori tutte le auto ma diocane proprio TUTTE, sono truccate e con i cazzo di adesivini e le cazzo di lucine blu, e tutti sti fighetti in tiro, ingellati ed arrapati che fanno i brillanti con quelle puttane di plastica. Che schifo cazzo che SCHIFO. E la cosa peggiore – uh naturalmente ero già sbronzo, capirai – la cosa peggiore, ma me ne sono reso conto dopo, solo ora tipo, la cosa che più mi fa vomitare se ci penso è che più li odiavo, a sti decerebrati truzzi  brillanti e pieni di sè, e più li INVIDIAVO. Cioè io stavo là da SOLO, anche perché comunque non volevo testimoni, io stavo là come se avessi una scopa su per il culo, in mezzo a tutta sta merda umana, e VOLEVO ESSERE COME LORO. E non me ne accorgevo, e sentivo solo un vomito schifoso giusto dietro la lingua, ma è chiaro che era così. E poi ste troie, cazzo, erano STRA-FIGHE! Chiaro. Ma ci pensi mai? Come mai se vai in fogne del genere è sempre pieno di gnocche? E non è solo che erano tutte mezze nude. Che squallore. E insomma, stavo là e davvero non capivo un cazzo, e stavo male capirai. E ad un certo punto ha cominciato a tirarmi. Miodio che schifo. Stavo là in mezzo a sto bordello – letteralmente – e c’avevo pure il cazzo duro. E stavo male. Cioè magari tu associ un’erezione a qualcosa di piacevole. Beh beato te. Quindi, che cazzo potevo fare? Sono andato in cesso a menarmelo.  È stato più difficile del previsto perché ogni volta che stavo per venire ero sopraffatto dal disgusto, ma insomma alla fine ce l’ho fatta. Una liberazione, ma anche una vergogna terrificante. Cioè cazzo renditi conto, ero in mezzo a gente indegna persino di guardarmi, e mi sentivo pure inferiore. Mai più guarda. Beh, ero là al lavandino che mi ripigliavo, e insomma mi vedo allo specchio, e già la faccia era abbastanza per, era abbastanza. Ma poi vedo che mi sono schizzato ADDOSSO! Capirai, era davvero eccessivo. Neanche me ne ero reso conto e già stavo gettando a schizzo. E di nuovo, addosso. Cioè avevo la cazzo di polo fighetta del cazzo tutta chiazzata di vomito e sborra. Uno spettacolino no? E proprio in quel momento entra uno di loro, di sti deficienti cocainomani palestrati imbecilli fascistoidi del cazzo. E tanto ero disgustato da me e da lui, e non so CHI mi faceva più pena e ribrezzo, che quando mi ha guardato, e mi è sembrato che avesse capito tutto, anche se alla fine gente come quella non capisce una mazza mai, e insomma mi squadra un po’, e gli faccio, e tu, che CAZZO vuoi, eh? E insomma mi ha fracassato lo zigomo, owio. Non l’ho nemmeno visto, il pugno.”