Archivio per novembre, 2009

11 09

Posted in Uncategorized on novembre 15, 2009 by abissiscarlatti

11 09

La cosa peggiore, forse, è che questo dovrebbe essere il momento migliore, in cui totalmente privi di desideri ci si può sentire veramente se stessi, liberi, ed invece tutto quello che sento è una grande pesantezza, un cupo senso di squallore, come una tragedia in grigio. La più grande delusione che riesca a ricordarmi. Il fondo del fondo, raggiunto improvvisamente dopo la scopata più attesa e bramata della mia vita.

Era diventata un’ossessione. Per molto tempo non sono riuscito a pensare a niente altro, a nessun’altra. Ho vissuto quasi un anno tormentato dalla certezza assoluta ed incrollabile che Marla non mi vedesse nemmeno, che fossi aria ai suoi occhi. Non osavo rivolgerle la parola; perché non credevo mi avrebbe neanche sentito, perché l’emozione mi toglieva qualsiasi controllo sul tono delle parole, come succede ai ragazzi quando cambiano voce e ad ogni momento non sanno se parleranno con quella da adulto o quella da bambino. Così i mesi passavano, ed io morivo ogni giorno un po’. Non avevo bisogno di nessuna conferma della sua indifferenza verso di me perché mi bastava il dolore, che con acute fitte mi bloccava il respiro ogni volta che la vedevo o la pensavo, mi bastava il dolore per togliermi qualsiasi speranza. Ci separava un abisso, pensavo, l’abisso di tutta la mia adorazione, e riempirlo mi pareva semplicemente inconcepibile.

E non c’era modo possibile in cui qualcuno o qualcosa avrebbe potuto sviarmi dalle mie certezze, perché ero troppo concentrato ed ossessionato dalla mia personale immagine di Marla e del mio amore per lei per poterci ragionare. Era una realtà a se, senza alcuna comunicazione con l’esterno. C’era solo il mio buio, e si alimentava da solo. È stato per questo che nel momento in cui tutto il teatrino mentale è crollato ho fatto difficoltà a crederci.

È stato poche ore fa. Ero all’Aurora, avevo passato la serata a darmele con i soliti altri, spettri catatonici al mio pari, frustrati e repressi come la quasi totalità delle facce che incontro ogni giorno per le strade della città. La solita folla chimica sciamava attorno indifferente. Ogni sabato ormai ci incontriamo e ce le suoniamo finché qualcuno non decide di averne avuto abbastanza. Zoppicavo. Lentamente me ne stavo uscendo, sporco e sudato, un labbro spezzato e gonfio, uno zigomo nero e tracce di sangue sparse sulla maglietta strappata. L’avevo già intravista, ma l’Adrenalina – dea tra le dee delle mie innumerevoli frequentazioni psicotrope – mi rendeva abbastanza leggero da non sobbalzare alla sua vista, ed abbastanza – e ce ne voleva – per chiederle di spostarsi dato che mi bloccava l’uscita. Poi, l’imprevedibile:”Prima, però, devi baciarmi.”

La sorpresa ci ha messo un po’ a raggiungermi, tanto ero distante in quel momento, e solo quando ho realizzato davvero il senso di quello che aveva detto ho alzato lo sguardo ai suoi occhi. In un’altra situazione avrei esitato fino al panico, incapace di reagire e di decidere, ma quello era un momento particolare. Devo ancora all’Adrenalina – che mi scorreva abbondante nelle arterie come ogni volta che finiva una serata del genere -, se il movimento delle mie labbra rotte e tumide verso le sue è stato così fluido ed inevitabile. Quello che è successo dopo ve lo potete sicuramente immaginare. Sul momento infatti non me ne rendevo conto, ma stavo seguendo dei binari collaudati, in cui ogni movimento era già stato scritto e praticato da schiere di persone nella mia stessa situazione. Quello che mi sembrava il culmine del mio desiderio, la meta finale in cui non avevo mai osato sperare, ne era in realtà il momento più ovvio e scontato.

Ma di questo me ne accorgo solo ora. Ora che sono disteso sul letto sfatto, con Marla a fianco che dorme nuda e scomposta. E, soprattutto, brutta.

C’è qualcosa di perfido nel fatto che solo ora mi sembri di vederla davvero. Eccoci qua, soddisfatti dopo che abbiamo ottenuto quello che credevamo di volere. Eccola qua, inerme, esposta e pallida come un mollusco fuori dalla sua conchiglia. Ne vedo le infinite imperfezioni, i dettagli sbagliati, le proporzioni vere e troppo terrene. Ne sento il respiro, ed è un respiro imperfetto, ne osservo la forma e non è quella che sognavo. E poi osservo me, svuotato materialmente e mentalmente, senza più nessuna tensione mi accorgo di non sentire più la vita. Cadente, mi guardo allo specchio e mi faccio schifo.

Ebbene, penso, eccomi qua. Ho ottenuto quello che mai credevo avrei potuto ottenere. Il massimo.
Tutto quello che ho sempre voluto.
E quindi? Cosa rimane? Dei mesi di tensione, cosa rimane? Dell’angoscia e del dolore come lame roventi, cosa rimane? A cosa hanno portato?
Sono passato da una frustrazione all’altra, da una desolazione all’altra.
E mi dico, non c’è via di mezzo, non c’è scampo. Questo momento è troppo una metafora della mia vita, una sua riproduzione in scala.
E scendo dal letto, ed apro la finestra, ed è l’alba ed è grigia e umida.
E mi dico, non voglio continuare così.
E mi dico, non posso.
E salgo, e salto.

09 09

Posted in Uncategorized on novembre 6, 2009 by abissiscarlatti
09 09
Un inizio di cui mi manca la storia. Però mi piace.

Il bosco di pini e latifoglie, in buona parte piantati nel 1859 quando il territorio era ancora austriaco, forma una larga striscia verde alle spalle del ciglione carsico, subito a nord di Trieste, a picco sulla città e sulla costa. La striscia verde, contrariamente a quanto si potrebbe pensare ad una prima occhiata se la si vedesse dall’alto, è fortemente umanizzata e piena di strade e stradine, la più grossa delle quali è la statale 22, che congiunge il valico di confine di Fernetti alla cittadina di Sistiana, e, più ad est, all’isontino ed al Friuli. La strada è larga in mezzo al bosco, dritta tra il confine sloveno da una parte ed il grande gradino dall’altra, che scende al mare. Invita a correre, ed è per questo che è uno dei collegamenti preferiti per i controlli della polizia stradale.
È notte, la strada è semideserta. La golf nera dell’ottantotto non sta correndo. Al volante c’è infatti Nino, che certe cose le sa bene. Nino non accelera, guida calmo. Sembra tranquillo, i suoi occhi castani controllano il tachimetro e la strada. Si è sistemato per l’occasione, porta una giacchetta di pelle quasi pulita e quasi nuova, dei jeans non troppo distrutti. Pulito. Sembra tranquillo ma non lo è affatto. Nino ha infatti in tasca un foglio con cinquanta trip, da consegnare, a Gorizia, ad un tizio di cui conosce solo il soprannome.
“Per cinquanta miseri trip”, pensa senza però scomporsi esternamente, “tutto sto cesso. Mah…Solo perché me l’ha chiesto Fede. Fede non sbaglia. Cioè, non ha mai sbagliato. Cioè, non ha ancora mai sbagliato.” Nino sa per esperienza che simili catene di pensieri difficilmente portano del bene, eppure non può trattenersi. “E sta qua poi, ma chi cazzo è.” Volta leggermente lo sguardo alla sua destra, cerca ancora una volta di decifrare la sconosciuta al suo fianco. Bassa, un po’ grossa, capelli neri a caschetto ed un bel viso da bambina felice, sempre tranquillo e scherzoso. Come se non stessero rischiando chissà quante beghe per neanche cento euro a testa. Anche qua, difficilmente Nino la avrebbe accettata come garante e compagna, se non fosse stato per Federico, che si era preso la briga di organizzare il tutto. La ragazza – Nino ne ignora persino il nome – restituisce lo sguardo e sorride, in silenzio come è rimasta per l’ultima mezz’ora, da quando cioè sono partiti dallo scuro piazzale di periferia in cui si erano incontrati. L’asfalto e gli alberi, scuri contro il cielo notturno, le scorrono dietro.