Archivio per gennaio, 2010

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Posted in Uncategorized on gennaio 9, 2010 by abissiscarlatti
Porto del Pireo, Atene. Notte estiva. Alla base di un molo, tra vecchie auto parcheggiate, resti di cassette ed altre immondizie. Seduto su una panchina, un ragazzo – che sarei io. Intorno ed a perdita d’occhio luci al neon, insegne vacillanti di agenzie viaggi, di chioschi o di officine, grandi edifici cadenti e polverosi, strade banchine e navi ormeggiate, molte sono addormentate, alcune ancora ed altre già sveglie. Silenzio interrotto solo da qualche motore. Il ragazzo è l’unica persona nel primo colpo d’occhio, l’unico essere umano le cui movenze possiamo distinguere dal nostro punto di osservazione, che deve essere alto poco più di una persona e posto alle spalle del giovane. Siamo quindi degli osservatori privilegiati, ma per partecipare meglio all’atmosfera della storia dovremmo sentirci sporchi e stanchi, e non dormire a lungo e su un letto vero da almeno due notti. Perché così è per il ragazzo – per me là. Aver bevuto qualche birra aiuterebbe anche, e sentirsi in bocca ed in testa il ricordo dell’ultima canna, praticamente una sigaretta corretta – stiamo al risparmio.

Non sembra che stia per succedere qualcosa, in realtà. Manca ancora qualche ora all’alba e fino a quel momento non ci si aspetta che accada molto, è un momento di pausa che normalmente si attraversa dormendo. Qua però dormire non è contemplato – sarebbe scomodo, e pericoloso forse, dato che siamo pur sempre in mezzo ad un grande porto. E, soprattutto, siamo nervosi e tesi. Lo è il ragazzo e dobbiamo esserlo anche noi, che siamo – lo si sarà capito ormai – una sua proiezione di qualche tipo. Il momento di pausa è ideale – sia per noi che per lui – per spiegare come si è arrivati qua. Lo sappiamo noi e lo sa lui, che dopo essersi guardato attorno per qualche minuto scava nel suo zaino e ne estrae un piccolo quaderno. È evidente che questo stato di cose è e rappresenta un’alterazione rispetto alla consuetudine, un’increspatura – scrivo “increspatura” sul quaderno, è la prima parola da diversi giorni e mi sembra in questo momento un ottimo condensato di sensi. Diciamo “è e rappresenta” perché si tratta allo stesso tempo di un simbolo e del suo significato, come se il ragazzo stesse vivendo una metafora – annoto anche “vivere una metafora”. E comincio a scrivere.

increspatura – Vivere una metafora
Sì, vivere una metafora. Questo momento, questa notte di indecisione, questo squallore suburbano che però, cazzo, è anche poetico. Un simbolo di come mi sento. Parto? Resto? Torno? Lo sapevo che il viaggio non mi avrebbe portato consiglio, sono stati solo altri due giorni alcolici ed immobili – a mollo nell’alcol, buona questa, me la devo segnare. È che volevo rimandare e rimandare ancora, ma non potevo più restarmene fermo a casa. Oh, non che ci credessi troppo. Quindi la questione è molto semplice: prendo il traghetto e raggiungo Ada o, beh, sono ancora in tempo per lasciar perdere. Che in ogni caso, poi, non riesco a vedere più in là di domani. Uh, ed io mi ero illuso, davvero, di essermi liberato del suo ricordo, e invece. Com’è grottesco che sia andato avanti per più di un anno a tormentarmi su poche notti – credevo mi avrebbero potuto cambiare per sempre. Quanto sforzo ho fatto per dimenticarle, mesi e mesi di concentrazione, ed ogni volta che stavo per cedere, chilometri di corsa fino allo sfinimento. Ma sembrava servire, ne stavo uscendo. Ero quasi riuscito a ricostruirmi a fatica una vita sociale, a frequentare persone, a provare per loro un genuino interesse. E poi, poi è bastato un odore. Tutto è crollato in un instante, tutto è stato inutile. Tutto. È stato. Inutile. INUTILE. Quanta fatica gettata, quanto tempo quanta vita bruciata, ed ora sono qua, e l’erba non mi aiuta di certo, e aspetto la nave e non so ancora cosa fare.

Seguiamo il ragazzo mentre scrive. Ci sta mettendo molto tempo, ad ogni virgola si ferma, rilegge, guarda il mare. Dopo aver messo l’ultimo punto si blocca, come intontito, poi si scuote, chiude il quaderno senza rileggere e lo mette nello zaino. Potremmo lasciarci sfuggire un sorriso ironico quando capiamo che si sta girando una canna. Come per il diario, anche adesso procede molto lentamente. Si guarda intorno attento, sbriciola, sventra una mezza sigaretta, il tutto con la massima precauzione e facendo continue pause ogni volta che sente qualche rumore. Se osserviamo bene possiamo vedere che gli tremano le mani, e che più volte rischia di rovesciare tutto. Quando finisce alza la testa e si stira la schiena, e con gli occhi chiusi fa tre lunghi e profondi respiri, chiuso e concentrato. Poi accende, tirando a pieni polmoni.

Una nuvola densa si solleva dalle sue labbra nella penombra giallastra, mentre stringe gli occhi e si scuote, il viso contratto e la mano libera che si stringe sull’altro braccio, come colto da un brivido di freddo. Continua con grandi boccate, muovendosi sempre di più ed apparendo via via più teso e tremante. Sbarra continuamente gli occhi e si muove a scatti. Quando è arrivato a metà, improvvisamente da dietro un silo appare il traghetto. È rimasto nascosto per tutto l’avvicinamento, e quando entra nella visuale nostra e del ragazzo è già vicinissimo, il ponte sta calando e sopra ci sono due marinai. La coperta è affollata. Si blocca – mi blocco.

Lo vediamo bloccarsi. Lo guardiamo in faccia, mentre fissa stordito la nave. Vediamo il panico affiorare sotto la superficie dei suoi occhi verdi, come un mostro marino che risale dagli abissi scarlatti delle sue viscere. Gli leggiamo dentro – a noi è permesso. Trema.

Pensa che la nave gli appare immensa e minacciosa, un mostro mitico grondante rumore e ferro, unto e sporco. Pensa che l’erba era troppa e troppo forte, e che l’effetto gli ricorda le pastiglie – e non sono ricordi gioiosi. Pensa che il mostro marino che è il traghetto mentre attracca sembra venuto a sfidarlo, e che si sente mancare il coraggio. Pensa che è davvero sconvolto, e si rende conto di sragionare, ma non può farci niente. Pensa che la sfida del mostro-traghetto è la sfida che Ada, senza saperlo, gli ha lanciato, e di nuovo e di più si sente dentro una metafora. Intravvede la faccia della ragazza in una macchia sulla paratia della nave, delira silenzioso, scuote la testa. Prende dalla tasca il biglietto, fa un respiro profondo, trattiene il fiato e corre verso il ventre di ferro. Raccoglie la sfida, sale, parte.