Archivio per luglio, 2009

05 09

Posted in Uncategorized on luglio 31, 2009 by abissiscarlatti

08 08

Mi è sfuggito il momento esatto, peraltro ormai parecchio distante, in cui ho smesso di essere abbastanza bravo –  anzi, meglio, capace – rispetto alla mia età – anzi no, meglio, in cui ho smesso di essere abbastanza piccolo rispetto a quello che facevo negli sport, tanto da rappesentare per chi mi vendeva un’indubbia singolarità non priva di un alone di vaga promessa –  che mi bastava praticamente esserci per venir guardato dagli adulti con divertita ammirazione.

08 08

Posted in Uncategorized on luglio 28, 2009 by abissiscarlatti
Nicole vomita copiosamente nel cesso del Toy. Con pochissima grazia, anche considerando le sue pessime condizioni. Più volte manca la tazza, si sporca gli stivaletti neri. “Sono morta”. Spenta, gli occhi tumidi. Fruga in tasca, rovescia catatonica la borsetta, buona parte del contenuto si perde nelle chiazze grumose sulle piastrelle. “Senza la coca sono morta. Come mi esco, da qua.” Il boato sordo della techno permea l’ambiente e fa tremare la porta. “Che schifo. Che schifo. Che schifo.”
Nicole ha passato la giornata a fumare un pessimo fumo tagliato con paraffina, alternandolo a conitnue sorsate di rosso da discount, nella vana speranza di anestetizzarsi, di ignorare, almeno per qualche ora, quella profonda crepa dentro di sé. I dettagli dell’appartamento, sporco di tre giorni di totale abbandono, sembravano quasi, a turno, farsi più nitidi, come a schernirla nel riportarla spietatatmente al presente. Il frigo senza più foto, biancastro. Un angolo con i resti di un bicchiere rotto. Il lavello pieno di avanzi e piatti, lerci ed ammuffiti. E la sua stanza, nella quale si era trascinata, estenuata. Polvere. Libri ed appunti sparpagliati sui palchetti. Del vino ha macchiato una vecchia cartolina.
Ed il letto. Il letto, vuoto. Il letto, spoglio. Arido. Talmente simbolico e drastico che più volte, osservandolo attraverso l’alcool e le lacrime, è scoppiata in una disperata risata.
Date le premesse non è stata quindi una grande intuizione quella di uscire, in cerca di non si sa bene cosa. Nè infatti l’avrebbe fatto, se non avesse trovato, per terra, un avanzo di coca. Poco meno di un grammo, di cui metà se lo è tirato in stanza, distesa in pigiama sul pavimento lurido. Era buona, era ottima, non era sua. Lei non se la sarebbe mai potuta permettere: era una delle tante tracce lasciate da Marco, il giorno che
“Farà male. Non ti amo più. Me ne vado.”
il giorno che…Le tre frasi le rimbalzano dentro, se le è ripetute talmente tante volte che le riesce difficile credere che avvessero – una vita fa, tre giorni prima – avuto un significato. Le sembrano dei suoni, come il rumore che fa la polvere bianca mentre viene aspirata dalle sue narici. Prive di senso ma non di dolore. Come se fosse vetro, che sta sniffando.
Raccolto qualche vestito è uscita di casa, capitando non troppo casualmente al Toy, dove stasera c’è una serata hardtek.  Il miscuglio di alcol e coca l’ha tenuta in palla per quasi mezz’ora, ma al terzo rum e cola, più o meno nel momento in cui ha sentito la botta dell’ultima riga che si ritraeva vigliacca, ha capito di colpo perché era arrivata fino a là. Marco stava ballando, a pochi metri da lei. Doveva averla già intravista e quindi è riuscito a fare finta di niente, ma lei si è sentita mancare il sangue al cervello; per un attimo ha visto nero e le gambe le hanno ceduto, si è ripresa appena in tempo per non rovinare al suolo.
Eccola quindi al cesso, drammaticamente in cerca della polvere e di sè stessa, la testa un vortice nero in cui quei pochi pensieri, ombre, si rincorrono senza sosta, rendendole impossibile qualsiasi decisione, anche la più semplice. Il pavimento è umido, si lascia scivolare a terra, la schiena contro l’intonaco scrostato della parete, le palpebre semichiuse ed il viso scosso da fremiti. Sferra un pugno isterico alla tavoletta del cesso, e questa – quasi non se ne accorge – si spezza. Ed è il dolore, lancinante e tagliente come una silhouette nera sullo sfondo della sua mente annebbiata, è il dolore acuto ed istantaneo che la sveglia. Schizza in piedi. Osserva le grosse gocce rosse che stillano copiose dal palmo della sua mano destra, cadono sulle piastrelle e si mescolano col vomito. Stringe il pugno, sente la ferita premere e straripare. Con lo sguardo fisso esce calma dal bagno ed entra nella sala.
Lui è al banco ed i loro sguardi si incrociano; restano fissi l’uno nell’altro, soli e muti, per qualche lungo istante. Tutto il loro passato comune li unisce come un meraviglioso ponte etereo, ma entrambi sanno, sentono, che ormai gli abissi di estraneità si stanno espandendo inesorabili, e qualsiasi speranza servirà solo ad acuire, se anche a posticipare, l’inevitabile dolore. Mentre lei prosegue verso l’uscita, lui – parrebbe quasi che non se ne renda conto – la segue. Fuori nel frattempo l’estate piove, allaga, sommerge. Infiniti rivoli, caldi come quelli che stillano dalla mano della ragazza, inzuppano la stretta via scura, tra gli alti muri cadenti e senza finestre.
Lei sa di essere seguita. Si volta, già fradicia. Marco è fermo sulla soglia, la sagoma appena visibile contro l’alone giallastro proveniente dall’interno. La guarda catatonico, le mani lungo i fianchi e la testa inclinata, caduta.
“Stai…” – deglutisce – “sanguinando”
“Sì”

05 09

Nicole vomita copiosamente nel cesso del Toy. Con pochissima grazia, anche considerando le sue pessime condizioni. Più volte manca la tazza, si sporca gli stivaletti neri. “Sono morta”. Spenta, gli occhi tumidi. Fruga in tasca, rovescia catatonica la borsetta, buona parte del contenuto si perde nelle chiazze grumose sulle piastrelle. “Senza la coca sono morta. Come mi esco, da qua.” Il boato sordo della techno permea l’ambiente e fa tremare la porta. “Che schifo. Che schifo. Che schifo.”

Nicole ha passato la giornata a fumare un pessimo fumo tagliato con paraffina, alternandolo a conitnue sorsate di rosso da discount, nella vana speranza di anestetizzarsi, di ignorare, almeno per qualche ora, quella profonda crepa dentro di sé. I dettagli dell’appartamento, sporco di tre giorni di totale abbandono, sembravano quasi, a turno, farsi più nitidi, come a schernirla nel riportarla spietatatmente al presente. Il frigo senza più foto, biancastro. Un angolo con i resti di un bicchiere rotto. Il lavello pieno di avanzi e piatti, lerci ed ammuffiti. E la sua stanza, nella quale si era trascinata, estenuata. Polvere. Libri ed appunti sparpagliati sui palchetti. Del vino ha macchiato una vecchia cartolina.

Ed il letto. Il letto, vuoto. Il letto, spoglio. Arido. Talmente simbolico e drastico che più volte, osservandolo attraverso l’alcool e le lacrime, è scoppiata in una disperata risata.

Date le premesse non è stata quindi una grande intuizione quella di uscire, in cerca di non si sa bene cosa. Nè infatti l’avrebbe fatto, se non avesse trovato, per terra, un avanzo di coca. Poco meno di un grammo, di cui metà se lo è tirato in stanza, distesa in pigiama sul pavimento lurido. Era buona, era ottima, non era sua. Lei non se la sarebbe mai potuta permettere: era una delle tante tracce lasciate da Marco, il giorno che

“Farà male. Non ti amo più. Me ne vado.”

il giorno che…Le tre frasi le rimbalzano dentro, se le è ripetute talmente tante volte che le riesce difficile credere che avvessero – una vita fa, tre giorni prima – avuto un significato. Le sembrano dei suoni, come il rumore che fa la polvere bianca mentre viene aspirata dalle sue narici. Prive di senso ma non di dolore. Come se fosse vetro, che sta sniffando.

Raccolto qualche vestito è uscita di casa, capitando non troppo casualmente al Toy, dove stasera c’è una serata hardtek.  Il miscuglio di alcol e coca l’ha tenuta in palla per quasi mezz’ora, ma al terzo rum e cola, più o meno nel momento in cui ha sentito la botta dell’ultima riga che si ritraeva vigliacca, ha capito di colpo perché era arrivata fino a là. Marco stava ballando, a pochi metri da lei. Doveva averla già intravista e quindi è riuscito a fare finta di niente, ma lei si è sentita mancare il sangue al cervello; per un attimo ha visto nero e le gambe le hanno ceduto, si è ripresa appena in tempo per non rovinare al suolo.

Eccola quindi al cesso, drammaticamente in cerca della polvere e di sè stessa, la testa un vortice nero in cui quei pochi pensieri, ombre, si rincorrono senza sosta, rendendole impossibile qualsiasi decisione, anche la più semplice. Il pavimento è umido, si lascia scivolare a terra, la schiena contro l’intonaco scrostato della parete, le palpebre semichiuse ed il viso scosso da fremiti. Sferra un pugno isterico alla tavoletta del cesso, e questa – quasi non se ne accorge – si spezza. Ed è il dolore, lancinante e tagliente come una silhouette nera sullo sfondo della sua mente annebbiata, è il dolore acuto ed istantaneo che la sveglia. Schizza in piedi. Osserva le grosse gocce rosse che stillano copiose dal palmo della sua mano destra, cadono sulle piastrelle e si mescolano col vomito. Stringe il pugno, sente la ferita premere e straripare. Con lo sguardo fisso esce calma dal bagno ed entra nella sala.

Lui è al banco ed i loro sguardi si incrociano; restano fissi l’uno nell’altro, soli e muti, per qualche lungo istante. Tutto il loro passato comune li unisce come un meraviglioso ponte etereo, ma entrambi sanno, sentono, che ormai gli abissi di estraneità si stanno espandendo inesorabili, e qualsiasi speranza servirà solo ad acuire, se anche a posticipare, l’inevitabile dolore. Mentre lei prosegue verso l’uscita, lui – parrebbe quasi che non se ne renda conto – la segue. Fuori nel frattempo l’estate piove, allaga, sommerge. Infiniti rivoli, caldi come quelli che stillano dalla mano della ragazza, inzuppano la stretta via scura, tra gli alti muri cadenti e senza finestre.

Lei sa di essere seguita. Si volta, già fradicia. Marco è fermo sulla soglia, la sagoma appena visibile contro l’alone giallastro proveniente dall’interno. La guarda catatonico, le mani lungo i fianchi e la testa inclinata, caduta.

“Stai…” – deglutisce – “sanguinando”

“Sì”

ringrazio Vanni Santoni per i consigli

06 07

Posted in Uncategorized on luglio 26, 2009 by abissiscarlatti

06 07

Mi piacciono, i Rise Against. Sono un gran gruppo di punk moderno ed ultimamente gli ascolto in continuazione.

Tempo fa ero ad un loro concerto. Il cantante ed il chitarrista si comportavano da perfetti rockers quali sono, con atteggiamenti e movenze atte ad esaltare il folto pubblico, che infatti reagiva con entusiasmo. Il batterista però era un po’ aninimo ed il bassista sembrava, per movimenti ed espressione facciale, essere là per sbaglio.

Oggi riguardavo una loro foto su una rivista. Il frontman ha sempre quella faccia e quello sguardo che ci si immagina debba avere una persona che suona quel tipo di musica. Il bassista invece – come sul palco – appariva, a guardarlo in viso, quasi spaesato.  Indossava però una maglietta dei Ramones, e teneva le braccia conserte in modo da sfoggiare i bicipiti e gli avambracci completamente tatuati, dando al suo corpo, dal collo in giù, il classico aspetto da musicista hardcore.

La mia prima reazione è stata di scherno: con una faccia del genere hai poco da fare la rockstar, è evidente. Poi però ho pensato che la faccia non se la è scelta, mentre la maglietta ed i tatuaggi, così come il modo di sfoggiarli, rappresentano il libero arbitrio, la possibiltà di essere e apparire come meglio si sente. Non volgiamo mica pensare, come facevano i lombrosiani , che dai lineamenti di una persona si possano dedurre le sue attitudini?

dove cazzo volevo andare a parare?

01.08

Posted in Uncategorized on luglio 24, 2009 by abissiscarlatti

01 08

Non sono mai stato molto dotato negli sport . Da piccolo però quello che mi mancava come capacità veniva, in parte, compensato da una sottile vena di follia. I particolare ciò si notava nei tuffi: adoravo tuffarmi, durante le nostre interminabili vacanze in Grecia, da qualsiasi spuntone roccioso a picco sul mare. Non c’era in questi lanci nessuna tecnica, nessuna eleganza; esisteva, per me, solo la gioia di buttarmi da più in alto possibile. Con un padre fanatico delle misurazioni come il mio, questo “più in alto” veniva ogni volta rigorosamente quantificato. Tre virgola cinque, sei metri e due, nove. In questa costante ricerca del tuffo più alto ero anche aiutato, cosa che non mandcava di inorgoglirmi, dalla blanda e permissiva tranquillità dei miei, che contrastava – in un modo che mi faceva sempre gioire – con l’apprensione dei genitori degli amici.

Il record è stato undici metri e venti,  misurati con una fune per barche trovata sulla spiaggia. L’ammaraggio, mi dice la memoria, era anche piuttosto ardito, circoscritto in una piccola chiazza di mare fra uno scoglio poco meno che affiorante da una parte e la costa dall’altra. Come se non bastasse, si toccava regolarmente il fondo.  Alla vista del mio amico e me appollaiati sullo sperone di granito la madre di lui lo richiamò con il suo tipico tono tra l’arrabbiato, il preoccupato, ed il “ma quanto scemo è?”. I miei rimasero invece sorridenti ed indifferenti; mio padre anzi mi incitava.

Mi lanciai, più volte, felice di potermi spingere a mia esclusiva discrezione verso quelli che, pur senza che lo sapessi, dovevano essere i miei limiti.

10.07

Posted in Uncategorized on luglio 22, 2009 by abissiscarlatti

10.07

Mi gira la testa, sto male.
Schiudo lentamenmte l’occhio destro. EH?! Ah, sembra stanza mia. Il mio letto. Mi volto, muovendo il collo con sforzo sovraumano, ma faccio appena in tempo a notare una bottiglia, che una volta aveva contenuto della vodka, alla base del letto, che vengo assalito da laceranti conati. Il maldestro tentativo di evitare il peggio fallisce miseramente appena cerco di alzarmi in piedi. Collasso rovinando sul pavimento, frantumando col mento un’altra bottiglia. Il poco liquido rimasto si confonde alla mia opaca vista con tutto il vomito ed il sangue. Decido di lasciar perdere qualsiasi considerazione, o tentativo di spiegazione, mi trascino lontano dalle scheggie di vetro, una striscia rosso-giallastra segna i miei movimenti.
A giudicare dalla luce, quando rinvengo devono essere passate molte ore. È buio. Sotto la faccia sento umido, ma almeno la testa sembra ferma, anche se gonfia e livida.

05.08

Posted in Uncategorized on luglio 22, 2009 by abissiscarlatti

05.08

E così prima di addormentarmi, quando non lo faccio leggendo o ascoltando musica, gli infiniti stimoli che ho introitato durante il giorno mi franano addosso tutti assieme, le emozioni che ognuna di queste supposte opere d’arte dovrebbero darmi si sommano, si mescolano. Si saturano. Non c’è spazio, nella mia testa, per tutte queste nozioni, non abbastanza. Tutto perde di significato, di profondità, un unico confusionario vortice macina senza pietà i ricordi, e riesco a stento a cogliere frammenti qua e là, di quello che originariamente la canzone, il romanzo, il film voleva comunicarmi, o comunque della reazione che ho avuto, all’istante, ad esso. Del nitore di quel momento non rimane che una pallida eco. Mi viene voglia di chiudere i ponti, mi viene voglia di essere un eschimese e rimanere per mesi immerso nel confortante ed infinito bianco della neve, nel rumore del vento sempre uguale a sè stesso, nella ipnotica e alienante desolazione, dove non c’è niente da osservare, niente da cui fasi trascinare, niente di niente. Bianco nulla.

02.08

Posted in Uncategorized on luglio 22, 2009 by abissiscarlatti

02.08

Adam.

Lei parla, disinvolta cerca il dialogo, ed Adam vorrebbe dirle, Lo sai che mi hai fatto molto male, oppure, Sei ancora più bella di quanto ricordassi, e vorrebbe e forse potrebbe, Adam, recriminare, ricordare, implorare. Ed invece tace, la guarda fissa, Adam, e si sforza di sfuocare l’immagine, fino a che non ne rimane che una macchia, un alone, indistinto e indistinguibile.